“Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto”. Maria di Màgdala giunta al sepolcro, il giorno dopo il sabato, lo trova vuoto e assalita dalla tristezza, scoppia in lacrime, cercando disperatamente il suo Signore, narra il Vangelo di Giovanni. Forse in tanti al vedere quella tomba vuota sabato 15 marzo 2025, nella cappella Livatino-Corbo, al cimitero di Canicattì, dopo l’estumulazione del giudice Rosario Angelo, beatificato il 9 maggio 2021, hanno provato gli stessi sentimenti della Maddalena, si sono sentiti vuoti, tristi, affranti dal dolore. Ma Giovanni poco dopo scrive: “«Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Era Cristo Risorto che apparso a Maria di Màgdala la chiama per nome e si fa riconoscere. E da quell’attimo in lei ritorna la gioia: «Ho visto il Signore».
Allora occorre guardare quella tomba con occhi diversi, occhi nuovi, con gli occhi della fede. Forse bisognerebbe andare a rispolverare le pagine del Vangelo che abbiamo dimenticato nel cassetto del comodino, o chissà dove, lo stesso Vangelo che Rosario, primo giudice proclamato beato, invece, teneva sulla sua scrivania accanto ai codici.
Tempo fa, parlando del giudice Livatino, un vescovo disse: “Volevano spegnere una luce, invece hanno acceso un candelabro”. Rosario con il suo sacrificio è diventato luce per tutti noi, come Cristo Risorto. Allora quella tomba vuota non rappresenta più morte, ma rinascita, non la fine, ma l’inizio di un nuova pagina della storia di Canicattì, fatta da credenti e non credenti; una città ancora macchiata dalla criminalità e in cui troppo spesso l’arrogante e il disonesto hanno la meglio sull’onesto e l’umile, in cui i caporali sfruttano i braccianti, in cui lo scontrino diventa una cortesia non un dovere, dove le minime regole alla base di quella che dovrebbe essere una comunità civile sono state dimenticate. Una città in cui il commercio, uno dei cuori pulsanti dell’economia locale, è sprofondato nella peggiore delle crisi, dove l’agricoltura annaspa, il mercato immobiliare è crollato, i cinema che hanno fatto la storia per decenni hanno chiuso i battenti per sempre, dove non si può passeggiare a piedi per timore di essere aggrediti o rapinati, e che centinaia di giovani hanno lasciato per trovare un’occupazione dignitosa. Una città dove nonostante l’impegno degli uomini e delle donne in divisa non si riesce a contrastare l’illegalità. Una città dove tutti e tutte, Istituzioni, Scuola, Chiesa, Associazioni, Forze dell’Ordine, semplici cittadini e cittadine, ciascuno per il proprio ruolo, devono rimboccarsi le maniche.
“Rosario sia il faro di questa comunità di Canicattì – ha detto l’arcivescovo monsignor Alessandro Damiano, poco prima del termine del momento di preghiera che ha seguito la traslazione nella chiesa intitolata alla fondatrice delle Clarisse. Rosario sia luce per la nostra diocesi di Agrigento. Rosario sia la luce per tutti”.
Rosario possa davvero essere faro per la sua Canicattì che, in questi quasi 35 anni, più volte, ha dimostrato di dimenticarsi di lui. L’ha dimostrato il 21 settembre, quando nella sua parrocchia san Domenico, durante le annuali celebrazioni in suo suffragio in pochi partecipavano alle funzioni, l’ha dimostrato nelle tante fiaccolate e passeggiate della legalità, nelle varie veglie di preghiera in sua memoria, negli innumerevoli convegni che hanno portato in città nomi illustri di procuratori, giornalisti, oratori, sacerdoti, testimoni di giustizia, che ogni giorno lottano contro la mafia. Che tristezza quelle sedie vuote!
Ma per la prima volta il 15 marzo 2025 Canicattì ha avuto modo di scusarsi per queste assenze. Commovente il lungo applauso che ha accolto il feretro del beato Livatino davanti alla chiesa san Diego, la stessa dove nel 1990 si erano celebrati i suoi funerali, e ancora più emozionante quello che ha segnato l’ingresso nella chiesa santa Chiara. Migliaia i presenti, anche se meno delle aspettative. Un evento simile avrebbe dovuto richiamare molta più gente dalla stessa cittadina e da ogni parte.
Canicattì
blindata come mai. Il massiccio dispiegamento di
forze dell’ordine
ha garantito la massima sicurezza, permesso il regolare passaggio del corteo e garantito l’incolumità di tutti. Tanti anche i volontari e gli uomini e le
donne del primo soccorso.
Intanto, si attende con trepidazione l’esame del corpo del beato ad opera dei medici incaricati da monsignor Damiano. Prima della traslazione, la mattina del 15 marzo ad Agrigento, nella sala “Giovanni Paolo II” del Palazzo Arcivescovile, il pastore della Chiesa agrigentina aveva già ufficialmente eretto il Tribunale ecclesiastico per la traslazione e la ricognizione canonica delle spoglie del beato Livatino. Questi i membri: don Giuseppe Pontillo, delegato Episcopale; don Gioacchino Falsone, promotore di Giustizia; don Giuseppe Lentini, notaio, Raffaele De Caro, specialista in anatomia patologica e in medicina legale; Lineo Tabarin, tecnico per il trattamento e la conservazione dei resti mortali; suor Alessandra Rusca, tecnica assistente ai trattamenti di conservazione; e nella qualità di testimoni:Vincenzo Corbo, sindaco di Canicattì, Giuseppe Milisenda Giambertoni, presidente del Tribunale di Agrigento, Salvatore Cardinale, ex presidente della Corte d’Appello di Caltanissetta, Salvatore Insenga, parente prossimo del beato, don Giuseppe Maniscalco, parroco di santa Lucia nel cui territorio si trova la chiesa santa Chiara e don Calogero Morgante, vicario foraneo di Canicattì.
Ad animare il momento di preghiera nel luogo di culto che ha accolto la salma del beato il coro polifonico diocesano, mentre il corteo è stato allietato dalle note e le voci dei giovani cantori e musicisti delle varie realtà parrocchiali e religiose della città.
E citando le parole del ritornello di uno dei canti intonati lungo il tragitto: “solo scegliendo l’amore il mondo vedrà…che la strada si apre, passo dopo passo, si spalanca un cielo, un mondo che rinasce: si può vivere per l’unità”; quell’unità che in questi mesi è mancata in questa terra ma che diventa indispensabile per la rinascita.