di Valentina Garlandi
“Nel tempo della malattia se da una parte sentiamo tutta la nostra fragilità di creature – fisica, psicologica e spirituale –, dall’altra facciamo esperienza della vicinanza e della compassione di Dio, che in Gesù ha condiviso le nostre sofferenze. Egli non ci abbandona e spesso ci sorprende col dono di una tenacia che non avremmo mai pensato di avere, e che da soli non avremmo mai trovato”. E’ il fulcro del messaggio di Papa Francesco per la 33esima Giornata Mondiale del Malato, che si celebra ogni per volere di san Giovanni Paolo II proprio l’11 febbraio, quando la Chiesa fa memoria della prima apparizione della Vergine a santa Bernadette a Lourdes.
Parole incoraggianti per chi è costretto a vivere nel dolore e nella sofferenza, che ogni giorno deve combattere con un male che lo consuma lentamente dal di dentro. La malattia rende più forti, ci insegna Gesù e apre le porte del Paradiso: «È vicino a voi il regno di Dio» scrive l’evangelista Luca nel capitolo 10. “La malattia allora diventa l’occasione di un incontro che ci cambia – aggiunge il Santo Padre - la scoperta di una roccia incrollabile a cui scopriamo di poterci ancorare per affrontare le tempeste della vita: un’esperienza che, pur nel sacrificio, ci rende più forti, perché più consapevoli di non essere soli. Per questo si dice che il dolore porta sempre con sé un mistero di salvezza, perché fa sperimentare vicina e reale la consolazione che viene da Dio, fino a «conoscere la pienezza del Vangelo con tutte le sue promesse e la sua vita» (S. Giovanni Paolo II, Discorso ai giovani, New Orleans, 12 settembre 1987). Mai come nella sofferenza, infatti, ci si rende conto che ogni speranza viene dal Signore – continua - e che quindi è prima di tutto un dono da accogliere e da coltivare, rimanendo «fedeli alla fedeltà di Dio», secondo la bella espressione di Madeleine Delbrêl (cfr La speranza è una luce nella notte, Città del Vaticano 2024, Prefazione)”.
Come fa la sofferenza ad essere un dono? Sembra una follia, un’assurdità. Lo è se si guarda ad essa con gli occhi della fragilità e piccolezza umana, diventa davvero un dono, invece, quando l’ammiriamo con gli occhi della fede. Come hanno fatto tanti santi e beati che l’hanno sperimentata sulla loro pelle. San Francesco d’Assisi, San Pio da Pietrelcina, la beata Madre Speranza di Gesù, la beata Caterina Emmerick, con il dono delle stigmate, santa Rita e tanti altri. Un elenco di nomi che brillano in Cielo, fari che illuminano il cammino dei pellegrini sulla terra, chiamati ad essere quest’anno più che mai pellegrini di Sperenza. In questo anno santo della Speranza allora esorta il Pontefice:“Cari malati, cari fratelli e sorelle che prestate la vostra assistenza ai sofferenti, in questo Giubileo voi avete più che mai un ruolo speciale. Il vostro camminare insieme, infatti, è un segno per tutti, «un inno alla dignità umana, un canto di speranza» (Bolla Spes non confundit, 11), la cui voce va ben oltre le stanze e i letti dei luoghi di cura in cui vi trovate, stimolando e incoraggiando nella carità «la coralità della società intera» in una armonia a volte difficile da realizzare, ma proprio per questo dolcissima e forte, capace di portare luce e calore là dove più ce n’è bisogno”.
(foto: Vatican News)